Commento al messaggio di PAPA FRANCESCO in occasione della giornata mondiale del malato 2024
Il santo Padre inizia la sua riflessione con una citazione della Sacra Scrittura: Non è giusto che l'uomo sia solo (Cfr. Gn 2,18), una frase, questa, che lascia intravedere la volontà di Dio fin dall'inizio: il Padre vuole darci la capacità di amare e di comunicare.
Lo sviluppo di questa capacità che in verità è un dono ricevuto, avviene grazie alle relazioni interpersonali che instauriamo nel percorso della nostra vita, e quando queste vengono a mancare ci si trova con un grande limite. Quando non possiamo relazionarci con gli altri a causa di una grave malattia contratta si sperimenta una sorta di abbandono, di chiusura in se stessi e spavento per questa nuova situazione che è estranea alla nostra natura originale.
Nella storia recente dell'umanità, abbiamo potuto vedere tutto ciò, ad esempio nell'ultima pandemia di covid-19 quanti dei nostri fratelli e sorelle sono dovuti morire non accompagnati; alcuni ricordano ancora la solitudine vissuta negli ospedali o nelle case di cura.
In quest’ultimo periodo si è posta attenzione a questa realtà nei paesi che sono sotto il flagello della guerra, dove si vive una sensazione di profondo abbandono principalmente nell’ambito socio-sanitario.
Va detto anche che nei Paesi in cui regna la pace, una certa cultura dell'individualismo colpisce le persone più vulnerabili: i bambini non ancora nati e gli anziani che vengono sommersi dalla cultura dello scarto ( Cfr. fratelli tutti 18) e finiscono per non essere inclusi nelle relazioni umane. Questo modo di fare è spesso dovuto a un pensiero utilitarista che esclude dalla società ciò che non è un bene utile.
Oggi abbiamo bisogno che l'assistenza ai malati sia veramente un atto d'amore che porti alla relazione, e questo si manifesta attraverso la vicinanza, la tenerezza e la cura personale dei malati.
Se riusciamo a fare che la persona sofferente e ammalata si relaziona con Dio, con se stessa. con la famiglia e gli amici, anche con gli operatori sanitari, probabilmente riusciremo anche a intraprendere un processo di cura integrale; a questo proposito ci aiuta la contemplazione della la figura di Gesù come Buon Samaritano (Cfr. Lc 10,25-37) Lui si fa prossimo e lenisce con tenerezza, le ferite dei suoi fratelli e sorelle malati.
La capacità di vivere in comunione con Dio, con i nostri fratelli e sorelle e con il creato è una dimensione che dobbiamo sviluppare soprattutto quando ci troviamo in una situazione di malattia e sofferenza, cercando di curare anche le ferite lasciate dal peccato che ci impedisce di vedere la realtà proposta dal vangelo. Si precipita in una indifferenza verso la sofferenza del nostro prossimo che diventa in alcuni casi sconvolgente, perché va in palese contrasto con la vocazione ricevuta: amare. Il rimedio a questa situazione è intraprendere la strada per diventare veri artigiani della vicinanza e della relazione fraterna.