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Una riflessione di Don Claudio Almeyra Fereyre

IL SUICIDIO NELL'ADOLESCENZA

 Una riflessione di Don Claudio Almeyra Fereyre

Un suicidio o un tentato suicidio1 può sembrare a prima vista il risultato di un'azione improvvisa e incomprensibile, ma è invece un atto conclusivo, è la manifestazione di un complesso di processi, fantasie, desideri e vissuti determinati da una realtà psichica in evoluzione e dall'età individuale di ogni giovane; spesso si sbaglia a considerare solo la causa precipitante del suicidio invece di tenere conto dei fattori di rischio e di vulnerabilità dei ragazzi.

L'età compresa tra i dodici e i diciannove anni è un periodo di transizione, in cui la decostruzione della propria identità personale e sociale richiede un cambiamento radicale, soprattutto nel rapporto con il proprio corpo, con le figure genitoriali e con i coetanei; questo processo di conversione può portare a difficoltà nella gestione dell'autostima e nell'accettazione delle frustrazioni, nonché nel controllo degli impulsi; è una fase critica che può generare uno stato di sofferenza, angoscia e depressione, che deriva nell’incapacità di gestire le contraddizioni della vita quotidiana. Il suicidio diventa così una via di fuga o una porta d'emergenza per evadere la realtà, insomma è un tentativo di comunicare agli adulti il proprio disagio, motivo per cui si arriva a comportamenti estremi caratterizzati dal rischio o dall'annullamento della persona; indipendentemente dallo stato psichico del giovane, il momento del suicidio in sé sarà sempre profondamente patologico, nessun tentativo di suicidio può infatti essere considerato entro parametri di “normalità” nel momento in cui si passa dall'idea all'azione.

Il suicidio è associato a disturbi della sfera emotiva, dell'affettività e dell'oscillazione dell'umore, in cui si manifestano varie forme di comportamenti auto aggressivi oppure autodistruttivi; va detto che possono giocare un ruolo rilevante diversi fattori, come le relazioni familiari e il contesto socio-culturale in cui il giovane vive, la assenza di una relazione psico-affettiva con i genitori oppure l'idea loro che il denaro e il successo si possano ottenere facilmente e senza sacrifici, questa concezione della vita gli fa sentirsi inutili e senza responsabilità. Oggigiorno se corrobora che la rottura di una relazione affettiva o un evento frustrante che delude le aspettative proprie o altrui, ad esempio un insuccesso scolastico, possono essere concetti precipitanti per un comportamento suicida.

In questi casi, il giovane può mostrare segni di disagio sia in termini di valori che di condotta, ad esempio un cambiamento nelle abitudini alimentari, l'isolamento dai coetanei, la cessazione della comunicazione con i genitori; quando si riscontrano questi atteggiamenti è necessario intervenire immediatamente.

La morte, per una persona suicida, è un mezzo per raggiungere una pace profonda, a volte può diventare una sfida, il giovane vuole affermare la sua fantasia di onnipotenza, nel senso che c’è solo uno che è il padrone della vita e la morte questo è un essere onnipotente. Il desiderio e la volontà di non vivere sono in realtà sostenuti dal desiderio di essere qualcuno, di sentirsi amati e voluti, di essere nel cuore dell'altro. A proposito, Freud ha giustamente affermato che il suicidio è un omicidio desiderato, si vorrebbe davvero uccidere l'altro, il genitore odiato, il gruppo dei coetanei, la società, il potere oppressivo, ecc. Tuttavia, il giovane si suicida per gettare il proprio cadavere al nemico per vederlo immerso in un mare di angoscia e rimorso.

Il suicidio o il tentato suicidio passa dall'essere un atto solitario ad essere un grido di aiuto, quindi non basta dire no al suicidio, è necessario recuperare la vita di molti giovani attraverso la ricerca di motivazioni, valori che possano contrastare la noia di vivere, per questo è necessario offrire modelli vitali con cui i giovani possano confrontarsi. Solo educando alla comprensione del senso della vita e dei valori sottostanti è possibile accettare la sofferenza e l'umiliazione, gestire e superare la sconfitta. Una dimensione molto importante da rivalutare è la speranza come virtù, assente nei nostri giovani, che permette loro di accettare i propri limiti e di trasformarli in stimoli per tirare fuori il meglio di sé. La società odierna, non dà loro segnali di speranza, né li aiuta ad affrontare le avversità della vita, possiamo chiederci oggi che ruolo ha davvero la speranza nella complessa genesi del comportamento suicida? La speranza, scrive Giacomo Leopardi nello zibaldone, non ci abbandona mai perché è una dimensione che appartiene alla natura umana, quindi, è una dimensione innata, dinamica, evolutiva, cioè dà il coraggio di guardare al futuro senza paura, scommettendo sulla propria capacità di capire che qualcosa di nuovo deve ancora arrivare: c'è sempre una promessa nel futuro.

La disperazione, invece, ci rende impotenti, non ci permette di vedere nulla di positivo nelle nostre esperienze, non ci aiuta a reagire all'oppressione della sconfitta, non ci incoraggia a cercare alternative di fronte alle difficoltà infatti il futuro non appare come una promessa, ma come una minaccia; questo è ciò che vive un giovane con comportamenti estremi come il suicidio.

Per evitare questo tipo di comportamento, occorre educare i giovani a investire nella loro vita, aiutandoli a guardare alle cose positive che hanno realizzato in passato, alle cose interessanti, all'avvento di un futuro promettente. I primi protagonisti di questo progetto sono senza dubbio i genitori, a cui devono aggiungersi anche altri organismi educativi; solo educando al senso del tempo si può vivere la progettualità, perché accanto a questo tempo orizzontale, che si consuma nella frenesia del quotidiano, c'è anche un tempo verticale che spinge lo sguardo verso orizzonti lontani ma belli.

1 M. L. D. PIETRO ET AL., Bioetica e infanzia. Dalla teoria alla prassi, EDB 2014, 263–272.

Pastorale per la salute di Acqui Terme ( Alessandria) 

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